AIgeist numero 9 │L'AI e la nostra salute - parte due │Namelix, il tool per dare un nome al tuo business│Giornalismo da Pulitzer, ma col bot│Sondaggio: volete news AI-free?
Benvenuti in AIgeist, la newsletter settimanale che parla semplicemente di AI.
Ogni mercoledì alle 7. Le altre nostre newsletter: Finambolic (martedì), Xerotonina (giovedì)
Il tema è - AI e la nostra salute - parte due
Alcuni lettori ci hanno sollecitato a parlare di come l’AI cambierà il mondo della salute. Il tema è enorme e complesso, accettiamo la sfida ma con alcuni avvertimenti: non siamo esperti di salute e o peggio medici, e non vogliamo indirizzare nessuno a scegliere questa o quella opinione in merito. Ci limiteremo a selezionare alcune delle esperienze e risorse che ci hanno più convinto e illuminato. Per tutti, consigliamo di leggere questo ottimo prontuario online su cosa fare e non fare come pazienti con i sistemi digitali (cosiddetto “dr Google”) prima di farsi venire idee strane.
Per leggere la parte 1 tornate indietro di una settimana ⏮️ a questo link
Se la benzina dell’intelligenza artificiale applicata a settori specifici è fatta di informazioni, il mondo della salute batte tutti. Il 30% di tutti i dati prodotti oggi in assoluto vengono dall’healthcare, quindi da noi umani. Certo sono enormemente spezzettati (in questa analisi una lista completissima di fonti, dall’IoT in ospedale, passando per il mondo assicurativo). Ma è un altro il numero singolo più impressionante.
Degli 80 milioni di lavoratori della salute necessari entro la fine di questo decennio, ne mancheranno 18, la gran parte dei quali nelle nazioni in sviluppo.
Questa è l’economia della salute dei prossimi anni, vista con la lente dell’AI: un tesoro di dati che possono essere trasformati in efficacia e cure migliori e una voragine di addetti che in qualche modo dovrà essere colmata.
La stessa ricerca che produce questo numero ha nelle sue conclusioni un richiamo forte al nostro tema, dove dice che “Le carenze globali previste per il 2030 potrebbero non verificarsi se la produttività del lavoro potesse essere aumentata, ad esempio, attraverso un migliore utilizzo della tecnologia, lo sviluppo migliorato delle competenze e le riforme istituzionali”.
La velocità di questo cambiamento è ancora tutta da capire ma i primi studi applicati cominciano ad esserci, e sono confortanti, visto che il 50% del lavoro degli infermieri è passato a fare scartoffie e niente come l’AI è bravo a ridurre questo onere
Ma se questa è un’area critica di attenzione, le speranze (e le aspettative degli azionisti delle aziende) vanno anche nella compressione dei tempi di sviluppo di nuovi preparati commercializzabili. Se infatti in media costa 2 miliardi “portare” una nuova medicina sugli scaffali, l’evidenza sulla compressione dei (crescenti) tempi di sviluppo grazie a sistemi AI è ancora tutta da sperimentare. Ci sono due ricerche di Boston Consulting Group che parlando di risparmi di tempo già misurati tra il 25 e il 50% (qui il pdf relativo ) ma solo per la fase pre-clinica. Come dice questo articolo di Nature, poi ci vuole anche “un sacco di fortuna (cit)” e quella nessuna AI la può garantire.
C’è poi chi si spinge a trovare un parallelismo tra la più profittevole e importante singola medicina oggi sul mercato, l’anti-obesità Ozempic, e l’intelligenza artificiale
L’esperto di tecnologia Scott Galloway ha infatti scritto che l’AI avrà sulle organizzazioni (non solo medicali) l’effetto che l’Ozempic ha sul corpo umano: farle dimagrire.
Intanto Novo Nordisk, l’azienda che ha sviluppato proprio l’Ozempic, apre un centro di ricerca sull’AI nel cuore di Londra, a King’s Cross, per scovare ricercatori in una delle capitali mondiali della ricerca sull’intelligenza artificiale, visto che la carenza di cervelli che sanno usare l’AI sarà seconda solo a quella di mani capaci di curare persone, tra pochi anni.
Da ricordare in breve> Se la medicina grazie alla sua natura di fabbrica naturale di dati (e documenti burocratici) si presta ad essere “ottimizzata” da strumenti di AI, più sfumato è l’impatto sul grande - e costosissimo - scoglio dello sviluppo di nuovi preparati. Intanto chi può investire, come l’azienda che ha inventato il farmaco del momento contro l’obesità, lo fa anche nell’AI.
La risorsa è - Namelix
Questa newsletter si sarebbe potuta chiamare BeyondBots, AmplifAi, DecodeAi, HeyAi, NewsBot, e con un altro centinaio di nomi possibili se avessimo prima interrogato l’app Namelix. Invece si chiama AIgeist, parola fuoriuscita da un brainstorming di due menti umane senza l’AIutino. Namelix è un generatore automatico di nomi brevi generati dall’intelligenza artificiale per aziende, prodotti e/o startup e funziona molto bene. Basta inserire le keyword, selezionare lo stile, evocativo nomi reali ecc. (ce ne sono 8 a disposizione) la randomness , ovvero l’affinità o distanza con le parole chiave (i risultati possono essere più o meno creativi) e poi aggiungere una breve descrizione del business per aiutare l’algoritmo a sfornare il nome. Per ogni suggerimento viene offerta una una breve descrizione con i feedback dell’AI del nome scelto, e l’opzione che permette di verificare se esistono già dei domini occupati o ancora liberi. Che con un solo clic si può registrare e acquistare sulle piattaforme dedicate. Il servizio permette anche di creare un logo appropriato con l’altra app brandmark.io. Al contrario delle agenzie che fanno questo di mestiere non effettua però verifiche né di tipo linguistico (si assicura se quella parola esiste e magari ha un significato diverso in un’altra lingua), né giuridico (se è presente già un marchio registrato con quel nome da qualche parte nel mondo).
Utile per> Per chi è a caccia di idee per un brand o un’azienda
🔗 Link: Business Name Generator - free AI-powered naming tool - Namelix
🪙Prezzo: gratuita la generazione del nome. Per la registrazione del dominio si viene indirizzati a un sito esterno per l’acquisto. Se si vuole aggiungere il logo il prezzo parte da 25 dollari per la versione basic (un solo logo in formato png) o 65 dollari per un servizio più completo, fino a 175 per quello enterprise da 10 concept diversi.
L’idea è - Un chatbot da Pulitzer
Per la prima volta ChatGPT e i suoi simili sono stati ammessi a partecipare al premio di giornalismo più prestigioso al mondo, il Pulitzer. L’utilizzo degli “AI tools” sono infatti dichiarati e ammessi in cinque contributi dei 45 finalisti della categoria giornalismo che verranno svelati l’8 maggio. Come racconta Marjorie Miller, membro del board del Pulitzer al Nieman Journalism Lab, la discussione sull’intelligenza artificiale è iniziata lo scorso anno e non poteva più essere ignorata. Il consiglio ha avuto modo di verificare attraverso la consulenza di alcuni esperti come Mark Hansen, direttore del Marshall Project, degli Harvard Innovation Labs e del Center for Cooperative Media su come l’AI sia ormai entrata nelle newsroom di tutti i più grandi giornali (vedi AIgeist numero 3) e su come escluderla non avesse molto senso. Ora si tratta solo di aspettare e vedere se nella rosa dei vincitori ci saranno anche reportage dichiaratamente scritti con l’aiuto dei bot o meno. C’è anche un altro premio per il giornalismo investigativo i Polk Awards, dedicato alla memoria di George Polk, corrispondente della CBS assassinato nella baia di Salonicco nel 1948 mentre seguiva la guerra civile greca, che s’interroga sull’opportunità di aprire o meno all’uso di questo strumenti. I dubbi permangono vista la natura dei progetti premiati che sono comunque legati a una sensibilità tutta umana. L’ultimo reportage che ha ottenuto il riconoscimento lo scorso anno riguardava un’inchiesta sui dispositivi CPAP della Philips malfunzionanti e genotossici, venduti a ospedali e pazienti nonostante gli allarmi della FDA, e ritirati dal mercato solo dopo un decennio. Il dubbio di John Darnton, curatore del premio, è di natura etica: “Non penso che quell’inchiesta così scottante sarebbe venuta fuori senza la cattiveria dei giornalisti. Non si tratta solo di verificare le norme di legge e verificare dei documenti serve la capacità linguistica associata a quella di leggere tra le righe e tra le pieghe dell’anima, e questa l’AI ancora non ce l’ha!”. Nel frattempo le abilità dei nuovi bot di digerire enormi volumi di parole e di creare racconti testi, codici audio, video, e superare test logici e matematici (vedi la tabella) non si arrestano e dunque sarà sempre più difficile escluderli, in futuro.
Anche se questo report del ricercatore Felix M. Simon dell’Oxford Internet Institute (OII) appena pubblicato “Artificial Intelligence in the News: How AI Retools, Rationalizes, and Reshapes Journalism and the Public Arena” afferma che, per ora, l’utilizzo dell’AI è limitato ai processi più che ai contenuti. Almeno da quanto hanno dichiarato 134 giornalisti e 36 manager che lavorano in 35 testate di Stati Uniti, UK e Germania. Il bot viene usato come uno strumento per velocizzare l’infrastruttura dei paywall dinamici, la trascrizione automatica e per l’analisi dei dati utili alla produzione di notizie. I pericoli però ci sono: il primo è la dipendenza dalle piattaforme offerte dalle Big Tech agli editori (con un effetto di di lock-in) che le rende vulnerabili agli aumenti dei prezzi o ai cambiamenti di priorità delle aziende. Il secondo è la mancanza di trasparenza nei sistemi di IA e la possibilità non remota che pregiudizi o errori si insinuino nella produzione giornalistica.
E il rischio supremo: che l'uso dell'IA comprometta l'autonomia dei giornalisti, limitando le loro capacità decisionali discrezionali di essere indipendenti e come si diceva una volta “con la schiena diritta” e non curva sugli algoritmi. Non ne abbiamo bisogno.
Tempo di lettura> 15 minuti
Il link: Five of this year’s Pulitzer finalists are AI-powered