AIgeist 53 │Umanisti ed AI, è vero amore? │Perché sono importanti e chi li usa - a cominciare da DeepSeek │La voce delle startup │Dove e cosa studiare se non siete scienziati
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“Think Different” recitava uno slogan pubblicitario della Apple di fine anni Novanta inizio Duemila, molto incisivo. E l’invito a pensare in modo diverso vale anche adesso nell’era dell’intelligenza artificiale. Pare proprio che dietro il successo dell’AI cinese DeepSeek più smart ed efficiente dei chatbot americani ci sia un piccolo team di laureati in discipline umanistiche che hanno curato il training dei dati del modello linguistico chiamati anche gli omniscienti dei dati. Sono laureati in lingue, letteratura e scienze sociali e forniscono quel tocco umano di conoscenza che serve agli algoritmi per migliorare la qualità delle risposte. La capacità di scrittura in cinese di DeepSeek è la migliore tra tutti i modelli open source e closed source secondo molti utenti orientali ma, i complimenti, arrivano anche dai concorrenti Usa.
David Holz, fondatore di Midjourney, ha scritto su un post su X che i suoi test hanno rivelato come i modelli di DeepSeek non solo superino i modelli occidentali nella comprensione della letteratura e della filosofia cinese antica, ma abbiano anche una padronanza dell’inglese superiore alle sue fonti dirette cinesi:” È come se stessi comunicando con conoscenze letterarie, storiche e filosofiche provenienti da generazioni che non avevo mai avuto accesso prima. In pratica, ai nostri modelli di intelligenza artificiale mancano le basi letterarie del pensiero occidentale, mentre i modelli cinesi hanno le loro intatte. È davvero stupefacente”.
Perché questi profili siano il motore che ha reso più potente DeepSeek lo spiega il CEO stesso durante un’intervista di un paio di anni fa. Liang Wenfeng preferisce assumere profili creativi e laureati in discipline umanistiche perché crede che la creatività e la capacità di pensare in modo innovativo siano più preziose delle esperienze solo tech pregresse, che si possono apprendere anche con un training ad hoc in azienda. Le persone con meno skill e background tecnologico sono più aperte a idee non convenzionali e in grado di affrontare sfide complesse con soluzioni “out of the box” e uniche. Si tratta anche di essere lungimiranti, afferma Wenfeng, “assumere persone con cv perfetti per quel ruolo può essere vantaggioso per ottenere risultati rapidi, ma queste competenze diventano meno rilevanti quando si guardano gli obiettivi più ampi e a lungo termine dell’azienda”.
Ma non è l’unico a pensarlo.
La voce dello startupper
Barthélémy Kiss, 36 anni, fondatore di Powder, una startup che si occupa di sviluppare applicazioni per PC che utilizza l’AI per le dirette di gaming, ha un background poco convenzionale, è laureato in scienze politiche ottenuta a Science Po. Si occupa di intelligenza artificiale dal 2015 ed è alla sua seconda seconda azienda nel campo. Anche Kiss è un sostenitore dei laureati in discipline umanistiche, gli unici, dice che portano un vantaggio significativo nell’industria dell'AI grazie al loro approccio creativo, critico e umano, essenziale per sfruttare al meglio le potenzialità della tecnologia. Il Ceo francese non è l’unico del suo team ad avere un background non tradizionale. Il suo cofondatore, Stan, è un laureato in belle arti e moviemaking, e ha creato il prototipo dell’app. Maryan, il CTO, ha studiato letteratura ed economia prima di passare all’AI, e la sua passione per la scrittura e l’economia lo ha aiutato a diventare un programmatore.
Un altro entusiasta dell’utilissimo approccio dei liberi pensatori agli algoritmi è Steven Johnson, cofondatore di diverse startup e ora direttore editoriale di NotebookLM presso Google Labs (del suo formidabile servizio abbiamo parlato sul numero scorso di AIgeist). In un’intervista ha affermato addirittura che le discipline umanistiche potrebbero essere destinate a una sorta di "rivincita" nell'era dei modelli linguistici di grandi dimensioni. Secondo Johnson, non solo una laurea in inglese è utile, ma anche le competenze filosofiche e psicologiche sono sempre più rilevanti, per affrontare domande complesse, come quelle legate alla moralità e ai principi umani da applicare nei modelli intelligenti. E come si chiamano queste nuove figure capaci di far ragionare gli algoritmi? Una delle nuove etichette è quella dell’AI Wrangler, una figura che non richiede necessariamente competenze di programmazione, ma che deve avere una conoscenza approfondita delle capacità dei modelli e dei migliori strumenti da utilizzare per compiti specifici. In breve cosa deve saper fare?
L’AI wrangler, o manager/supervisore/administratore, è una figura che combina diverse competenze, come quelle di un manager, ingegnere di prompt, scienziato dei dati, programmatore, fact checker ed esperto di machine learning. Una specie di babysitter super esperta a cui affidareste vostro figlio per educarlo in vostra assenza. Il suo ruolo consiste infatti nel selezionare, configurare, monitorare, stimolare, valutare, affinare, correggere e adattare sistemi complessi di AI automatizzati.
Anche se c’è una crescente valorizzazione delle competenze umanistiche, avverte però Johnson, le competenze tecniche rimangono essenziali. Quindi se sei un umanista, che non conosce il Python ci sta pure, ma se non hai mai aperto una sessione con ChatGPT e non ti viene nemmeno la curiosità di farlo lascia perdere.
E qui veniamo al punto. Brian Ball, professore di Filosofia presso la Northeastern University di Londra e ricercatore della British Academy e la Royal Society, (nel suo curriculum ci sono una Laurea in Filosofia con lode e un minor in Linguistica presso la McGill University, un altro bachelor in Filosofia a Oxford ecc) se l’AI si mangia il nostro sapere come se fosse il fantasmino del Pac-Man l’unico modo di arginarlo è unire il sapere tecnico della scienza computazionale con la comprensione umana offerta dalle scienze umane. In particolare l’integrazione delle prospettive delle scienze sociali, filosofiche e artistiche sarà cruciale per sviluppare tecnologie rispettose e giuste. Le università stanno già promuovendo programmi di studio che combinano la ricerca computazionale e filosofica, preparando gli studenti a riflettere sugli impatti sociali ed etici dell’AI e a garantire che l’innovazione tecnologica rispetti i valori umani fondamentali.
Dove e cosa studiare, allora?
STEM, STEM, STEM. Da qualche anno non si parla d’altro e se possiamo permetterci un consiglio del tutto amichevole, STEM è importante. Anche per chi studia “humanities”, parola intraducibile in italiano e che nel mondo anglosassone, che a noi piaccia o no informa questi temi, denota “tutto ciò che non è scienze naturali e sociali, medicina, legge o economia”. Cosa contiene allora? I grandi classici sono filosofia, lingua e letteratura, linguistica (che è un’altra cosa alle lingue, ed è alla base dei modelli - appunto - linguistici dell’AI), storia, arte e religione. Insomma, benissimo cimentarsi nelle humanities per andare poi nell’AI, ma un po’ di corsi collaterali di statistica, programmazione base o modelli di dati è da mettere in conto. Non occorre diventare Galileo, o Goethe, ma un po’ il piede in due scarpe ci sta.
Abbiamo usato vari tool e strumenti di ricerca per scoprire quali sono e dove sono le università triennali che insegnano appunto “humanities” con un (forte) tocco di intelligenza artificiale, ed ecco la risposta – volutamente limitata all’Europa + UK:
Per chi avesse già compiuto un primo corso di studi, segnaliamo invece qui sotto i master più gettonati, di nuovo escludendo quelli a forte carattere STEM – che sono tantissimi ormai, e si affacciano anche in Italia.
Infine un consiglio pratico per gli studenti desiderosi di entrare nei master: serve un’attenzione massima ai criteri di selezione, spesso stringenti. Molto spesso richiedono fondamenti di discipline come la linguistica o la logica, oppure qualche rudimento di filosofia. Essendo tutti all’estero – ma vale anche per molti master in lingua inglese in Italia – sarà richiesto un test di ammissione in lingua inglese. Insomma, per fare qualche esempio: uno studente in business potrebbe avere un buon punteggio su temi come la matematica e la logica ma mancare per esempio di elementi di linguistica. Oppure, uno studente di filosofia potrebbe essere ben piazzato su logica e metodi di analisi ma mancare di elementari basi scientifiche utili. Ma tentar non nuoce, e spesso questi corsi sono piccoli e valutano con attenzione anche la motivazione e altri elementi cari ai candidati, non solo il percorso accademico.
BONUS!! EXTRA!!! Le 5 regole d'oro 🪙 di AIgeist per combattere pigrizia ed errori
Ci siamo ispirati a questa fonte e abbiamo creato, con l’aiuto di ChatGPT e qui lo dichiariamo secondo l’ultimo punto del nostro manifesto ETICA, le cinque regole per un utilizzo dell’AI responsabile e consapevole, per mantenere diciamo così “una fase massa del cervello”.
La potete scaricare in PDF (sotto), stampare come un santino da mettere sulla scrivania, tenerlo come promemoria sul desktop o ignorarlo per vedere l’effetto che fa 🧠.