AIgeist 34 │💸 OpenAI cambia pelle e diventa profit│Chi, come e perché del ribaltone │ Facciamo bene i conti in tasca al gigante AI │Chi è la donna che potrebbe portarla in borsa e come sta Re Altman
Benvenuti in AIgeist, la newsletter settimanale che parla semplicemente di AI.
Le altre nostre newsletter: Finambolic (martedì), Xerotonina (giovedì). Abbonatevi, è gratis!
OpenAI entra nella stagione della muta, sta cambiando piumaggio per trasformarsi in cosa? Da ente non profit che voleva cambiare il mondo, la cui “missione è garantire che l'intelligenza artificiale generale porti benefici a tutta l'umanità” ad azienda con scopo di lucro che ha alle spalle un facoltoso “partner”, Microsoft. In questa fase turbolenta, c’è un bel via vai di persone. Il 25 settembre con tweet su X Mira Murati ha dato il suo addio all’azienda, dopo sei anni e mezzo, per “iniziare un percorso di personale esplorazione” e altri hanno seguito il suo esempio. Un bel reshuffle o per dirla all’italiana, siamo al rimpasto.
Vediamo passo passo cosa sta succedendo e perché.
Diventare profit, non l’avevo considerato
La struttura di OpenAI è sempre stata chiara fin dalla fondazione nel 2015: una organizzazione di ricerca senza scopo di lucro con lo scopo di costruire un’intelligenza artificiale aperta, sicura e vantaggiosa per tutti. Un gruppo di smanettoni con un’idea brillante per il futuro. Quattro anni dopo, nel 2019, è stata però creata ha creata una seconda azienda a scopo di lucro per contribuire a finanziare gli alti costi di sviluppo dei modelli, attirando miliardi di investimenti esterni da Microsoft e non solo. Nel novembre 2023 il cofondatore Sam Altman lascia (o meglio, viene cacciato) e va da mamma Microsoft, i dipendenti minacciano di fare lo stesso, c’è un primo rimpasto, ma pochi giorni dopo ritorna in sella, con più potere di prima. L’informatico di Chicago diventa meno guru e passa più tempo nella veste di fund manager che ad allenare algoritmi. Passano 11 mesi e arriva il nuovo ribaltone. In una delle sue uscite pubbliche annuncia che l'azienda è in una fase di transizione verso quello che ha definito “il prossimo stadio” del suo sviluppo, uno stadio verso lo status di “public benefit corporation” (simile a quella che racchiude le attività AI di Elon Mask, l’insurtech Lemonade o la piattaforma Etsy) che presuppone un fiume di denaro ( la valutazione ora è di 150 miliardi di dollari) da gestire e da far fruttare, per accontentare gli investitori. E una partecipazione azionaria non da poco per il CEO Altman che secondo alcune indiscrezioni giornalistiche, potrebbe aggirarsi al 7%.
C’è chi dice no
Appena è giunta la notizia “non ufficiale” di un cambio di direzione si sono scatenati i commenti. Secondo alcuni analisti, a trarre beneficio dalla nuova struttura societaria ci sarebbe prima di tutto Microsoft e altri investitori (Nvidia si è aggiunta da poco) che a questo punto avranno più voce in capitolo sui prodotti di OpenAI. Per altri invece questa idea di sovvertire l’attuale struttura ha già acceso un faro tra enti di regolamentazione statunitensi ed europei e ha esacerbato una divisione ideologica tra leader scientifici e aziendali, i quali avvertono che le tecnologie di apprendimento automatico come quelle sviluppate da OpenAI dovrebbero rimanere accessibili al pubblico. OpenAI e Microsoft sono tra l’altro già oggetto di un’indagine (insieme a Alphabet, Amazon e Anthropic) da parte della Federal Trade Commission statunitense che vuole capire se questo mercato, nelle mani alle solite big tech, stia “distorcendo l’innovazione e compromettendo la concorrenza leale”.
Per non parlare degli sgambetti di Elon Musk che ha co-fondato OpenAI con Altman, Greg Brockman e altri, che è stato anche uno dei primi sponsor (pare abbia investito 44 milioni di dollari) ma è uscito nel 2023 sbattendo la porta, e ha poi fatto causa all’azienda, perché ha anteposto i propri profitti e i propri interessi commerciali al bene pubblico.
Insomma il passaggio di OpenAI alla fase 2 potrebbe non essere facile, anche dal punto di vista legale, visto che ora gode di un regime di esenzione fiscale in quanto organizzazione di beneficenza. Se così non fosse gli enti regolatori potrebbero dir ela loro.
Facciamo due conti, anzi tre 💶💶💶
Ricostruire la storia finanziaria di OpenAI non è un esercizio semplice. Stiamo parlando di un’azienda che secondo varie fonti di consuma almeno 700mila dollari al giorno solo di risorse fisiche – data center eccetera – e ha perso circa 540 milioni nel 2022.
Nel 2024 dovrebbe fatturare 3,4 miliardi, valerne circa 90 e avrà raccolto circa 13.3 miliardi dalla sola Microsoft. La relazione col gigante di Redmond è però ben più complessa: i software di OpenAI “girano” solo e in esclusiva su data center di Microsoft – che curiosamente non ha però alcun membro nel Cda dell’azienda di AI (così l’antitrust è leggermente meno scontenta). L’accordo è, in versione molto semplificata e al meglio delle conoscenze pubbliche, il seguente, e si basa sulla struttura cosiddetta “ibrida” di OAI: una parte for-profit e una non-profit. Quando OpenAI inizierà a generare profitti, i primi a essere pagati saranno i primi investitori, che riceveranno il capitale iniziale. Dopo di loro, il 25% dei profitti andrà ai dipendenti e agli investitori fino al raggiungimento del limite di guadagno, mentre il 75% andrà a Microsoft finché non recupererà i suoi 13 miliardi. Successivamente, Microsoft riceverà il 50% dei profitti fino a 92 miliardi, poi tutti i profitti torneranno a OpenAI.
Questo nel mondo ibrido. Ma cosa succede se openAI diventa “for profit”? A guadagnare sarà ancora e sempre Microsoft, come ben spiega questo informato articolo, e spieghiamo anche sopra.
Contemporaneamente a questa virata “profit”, pensate un po’, nelle casse di OpenAI sono piovuti altri 6,6 miliardi da investitori come la solita Microsoft, Nvidia, Softbank e altri partner finanziari. Questo alzerebbe il valore dell’azienda a 156 miliardi, avvicinandola ai 200 miliardi di valutazione di colossi come ByteDance/TikTok o SpaceX. Restando in campo AI, Anthropic, principale rivale è valutata circa 40 miliardi.
Verso la borsa, e al volante c’è una donna
La compagnia resta comunque un oggetto privato, non quotato. Ma… è ovvio, ora tutti guardano a quando, e qui si stanno bruciando i tempi, dovesse quotarsi al Nasdaq o altro. A giudicare dal mostruoso successo del chipmaker Nvidia, che è vero detiene una posizione di quasi-monopolio, ma alla fine si è giovato della sua leadership nell’AI, non stupisce che qualche investitore della prima o seconda ora si lasci andare in pubblico ad inviti non velati di quotazione.
E siccome non si vive di soli algoritmi, vediamo chi c’è dietro le recenti mosse. Si tratta di una donna di poco più di 50 anni, la nordirlandese – ma vive in California - Sarah Friar, nuova CFO (Chief Financial Officer) da Giugno 2024 e con esperienze precedenti in Nextdoor e Block.
Secondo il Wall Street Journal, Friar è al centro di importanti scelte strategiche e putacaso ha portato in borsa entrambe le aziende per le quali ha lavorato recentemente – oltre ad avere in curriculum studi a Oxford e Stanford e l’immancabile gallone McKinsey. In questa intervista a CNBC di pochi giorni fa spiega bene le sue priorità e anticipa che se ora la scala è grande, diventerà molto più grande, e ci vorranno molti, molti soldi, ma gli utenti ci sono, crescono bene e il modello è chiaro.
Un gran via vai di persone, e re Altman non molla
Nel grande valzer degli addii non c’è stato solo quello di Mira Murati. Nel ribaltone del novembre scorso Ilya Sutskever, co-fondatore e chief scientist di OpenAI, che aveva cercato di cacciare Altman perché lo considerava troppo spregiudicato, è stato tra i primi ad essere silurato. In poco meno di un anno Sutskever ha però creato- con Daniel Levy, un altro transfugo- la startup Safe Superintelligence (SSI), che ha appena raccolto un miliardo di dollari, e vuole sviluppare una AI sicura e controllabile. Un altro cofondatore Durk Kingma ha invece annunciato pochi giorni fa che andrà a far parte della squadra della rivale Anthropic dove raggiungerà gli ex colleghi: l’ex responsabile della sicurezza di OpenAI, Jan Leike, e un altro co-fondatore John Schulman. In queste settimane poi le fughe si sono intensificate con le dimissioni Bob McCrew e di Barret Zoph, rispettivamente presidente e vicepresidente della ricerca. Quello che appare certo è che nessuno avrà problemi a trovare lavoro, visto che i concorrenti fanno a gara per reclutarli.
Anche le operazioni immobiliari sono da record
Tra porte che sbattono e grandi ritorni, su tutti quello di King Sam Altman che non molla la presa, c’è anche in ballo il quartier generale. Mentre la prima sede a Mission District a San Francisco è stato scelta da Elon Musk per lanciare la sua startup, xAI Altman e soci hanno appena sottoscritto un contratto per l’affitto del Puck Building, un palazzo iconico di 8000 metri quadri a Soho che diventerà la nuova sede a New York. Questo dopo che il mese scorso OpeanAI ha affittato un edificio di sei piani nel quartiere Mission Bay, il più grande contratto di locazione dell’anno in città, e ha annunciato l’apertura di altri uffici.
Il nuovo logo inquieta e preoccupa
Tra le tante novità in arrivo pare ci sia anche il nuovo logo, forse opera di Jony Ive, l’ex designer di Apple, amante del minimalismo, che ora sta lavorando con Altman, e un piccolo team di 10 persone, su un prodotto hardware segretissimo.
La già mitica spirale potrebbe essere sostituita da un semplice, ma inquietante per alcuni, cerchio nero.
Un altro tassello questo, e importante, se si pensa al percorso verso la quotazione.